Tracciabilità autotrasporto

Tracciabilità autotrasporto

In questi giorni sta suscitando una certa preoccupazione tra imprese e professionisti una disposizione inserita in sede di conversione nella L. 164/2014 del DL 133/2014 (c.d. “Sblocca Italia”) relativa alla tracciabilità dei flussi finanziari nel settore del trasporto ed operativa dallo scorso 12 novembre.

Nello specifico, ai sensi dell’art. 32-bis comma 4 del citato provvedimento, al fine di assicurare la tracciabilità dei flussi finanziari finalizzata alla prevenzione delle infiltrazioni criminali e del riciclaggio del denaro derivante da traffici illegali, tutti i “soggetti della filiera dei trasporti” provvedono al pagamento del corrispettivo per le prestazioni rese in adempimento di un contratto di trasporto di merci su strada, di cui al DLgs. 286/2005, utilizzando strumenti elettronici di pagamento, ovvero il canale bancario attraverso assegni, bonifici bancari o postali, e comunque ogni altro strumento idoneo a garantire la piena tracciabilità delle operazioni, indipendentemente dall’ammontare dell’importo dovuto.

Per le violazioni di tali prescrizioni si applicano le disposizioni dell’art. 51 comma 1 del DLgs. 231/2007, ai sensi del quale, i destinatari del DLgs. “antiriciclaggio”, inclusi gli iscritti a un ODCEC, che, nell’esercizio della propria attività professionale, hanno notizia di infrazioni alle disposizioni, tra le altre, in tema di limiti all’utilizzo del denaro contante, ne riferiscono entro trenta giorni alle competenti Ragionerie territoriali dello Stato per la contestazione e gli altri adempimenti previsti dall’art. 14 della L. 689/1981.

La nuova previsione normativa desta non poche perplessità. In primo luogo non è dato rinvenire una definizione normativa di “soggetti della filiera dei trasporti”. Tuttavia, posto che la norma rinvia al DLgs. 286/2005, si ritiene che rientri nel relativo ambito applicativo qualsiasi impresa committente, vale a dire quella che stipuli o nel nome della quale è stipulato un contratto di trasporto con un vettore (impresa di autotrasporto) iscritto all’albo nazionale (ex art. 2 lett. c) e b) del DLgs. 286/2005). Banalmente una società industriale che utilizzi un corriere per spedire un singolo plico non dovrebbe più pagare il costo della spedizione in contanti.

Per tali soggetti della filiera si pone un’eccezione alla regola generale di cui all’art. 49 comma 1 del DLgs. 231/2007, secondo la quale è vietato il trasferimento di denaro contante effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro. Il divieto di utilizzo del denaro contante, infatti, presenta, nel caso in questione, carattere assoluto (“indipendentemente dall’ammontare dell’importo dovuto”).

Più delicata è la posizione dei professionisti, per effetto dell’ultimo periodo dell’art. 32-bis comma 4 del DL 133/2014 convertito. Per (tutte) le violazioni ivi contemplate, a prescindere dagli importi, si applicano le disposizioni dell’art. 51 comma 1 del DLgs. 231/2007. Di conseguenza, i professionisti che, nell’esercizio della propria attività professionale, hanno notizia delle infrazioni in questione (anche di importo inferiore a 1.000 euro) devono provvedere alla prescritta comunicazione alla Ragioneria dello Stato.

Il legislatore, in tal caso, rinvia espressamente alla disposizione che prevede l’obbligo di comunicazione, ma non anche a quella che ne sanziona l’inadempimento; ovvero l’art. 58 commi 7 e 7-bis del DLgs. 231/2007, secondo cui, la violazione dell’obbligo imposto dall’art. 51 comma 1 è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria dal 3% al 30% dell’importo

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